Il
13 novembre di 20 anni fa, nel 1989, il fondatore dirigente del Fronte
di Liberazione del Popolo (JVP) venne ucciso barbaramente dalle forze di
polizia dello Sri Lanka. Da due anni il JVP aveva ingaggiato una lotta
senza quartiere contro un governo dittatoriale di destra che, appena
giunto al potere, aveva abolito la costituzione, soppresso i
fondamentali diritti democratici, messo fuori legge la sinistra
rivoluzionaria.
Sul
piano economico–sociale la destra aveva imboccato la via di un
neoliberismo selvaggio fatto di privatizzazioni e di misure
antipopolari che svendevano l’economia del paese alle multinazionali e
all’imperialismo.
La dittatura aveva portato il
paese sull’orlo del collasso e affamato il popolo, mentre assieme alle ingiustizie, crescevano a dismisura le ricchezze della borghesia.
Stanchi
di 10 anni di tirannia, nel 1987 il proletariato e la
gioventù dello Sri Lanka iniziarono una lotta con scioperi e
mobilitazioni. Il governo rispose con lo stato d’emergenza e la
persecuzione più feroce. Ai
comunisti non restava che passare alla resistenza armata popolare o affrontare l'esilio volontario. La dittatura rispose con la ferocia, il piombo e gli squadroni
della morte. Due anni di fuoco in cui
persero la vita quasi 60 000
giovani, operai e contadini.
L’assassinio
a sangue freddo del massimo dirigente del JVP, Rohana Wijeweera, il 13
novembre 1989, fu l’atto conclusivo dello sterminio reazionario.
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